ITINERARIO DI PREPARAZIONE AL MATRIMONIO CRISTIANO
Carissimi fidanzati,
grazie per questo desiderio di “fare famiglia” con la
benedizione del Signore.
Queste note non vogliono darvi "nessuna istruzione" perché
amarsi è una realtà così intima e personale di cui solo voi ne conoscete il mistero.
Queste semplici riflessioni vi vengono affidate perché l’amore
sponsale che celebrerete nel sacramento del matrimonio trovi in voi
una gioiosa accoglienza e il desiderio di ritmare la vita familiare
sull’amore di Dio che Gesù ci ha donato attraverso lo Spirito che ci dà
la forza di superare le nostre debolezze.
Auguri di vero cuore
Mi innamoro…
Innamorarsi non è solo un fatto naturale ma è anche dono, grazia, risponde a quel bisogno
per cui “l’uomo lascerà suo padre e sua madre e sarà unito alla sua donna e i due formeranno una
carne sola” (Ef 5,31-32). La vicenda amorosa di un uomo e di una donna, allora, è come un itinerario
dove questa comunione è tutt’altro che immediata, ma sta davanti ai due come una promessa
futura, dove l’unione non è solo l’esito dello sforzo della coppia, ma è anche ricevuta da Qualcuno
che ha messo nel cuore questo desiderio.
l matrimonio, allora è anche dono che porta a compimento il desiderio inscritto nelle
strutture più profonde della natura corporea. In questa prospettiva il fidanzamento è tempo di
grazia: là dove un uomo ed una donna si amano sinceramente, c’è anche lo Spirito di Dio che li attira
ad essere una carne sola.
Se risalite a qualche anno indietro facilmente ricordate come la vita trascorreva diversamente ... Poi
ad un certo momento è arrivato/a un/a ragazzo/a e questa presenza vi ha fatto sentire “diversi“
nella scoperta di poter amare ed essere amati.
“Volersi bene” vuol dire capacità di entrare in rapporto profondo con l'altro, stabilire una
relazione significativa, in cui l'aspetto relazionale prevale su tutto il resto. Questo si traduce nella
ricerca di soluzioni nuove di fronte ai problemi e nel desiderio di dare un senso diverso alla vita.
Questo è il tempo del fidanzamento e in questo contesto vi invito a confrontarvi alla luce di alcune
provocazioni:
a. È proprio vero che l'altro mi deve fare sempre felice?
È normale che ad un ragazzo/a innamorato/a venga in mente questo. Ma forse è un presupposto
sbagliato aspettarsi dall'altro una felicità che non sempre può dare. Attendere un benessere
fondato su un bisogno che, essendo reciproco, mette anche l'altro nella situazione di
un'aspettativa simile fa scontrare due urgenze simili. Cosa capiterà a questa coppia quando uno
dei due scopre che non sempre l'altro lo fa felice, perché si trova in un momento di crisi, o perché
si trova in difficoltà, o perché lui stesso ha bisogno di sentire l'altro come fonte della propria
felicità? Davanti alle prime difficoltà la conclusione diventa: «È troppo complicato stare con te,
è troppo faticoso! Non me la sento più».
Probabilmente è necessario declinare questo presupposto in un altro modo: «È così gratificante
quando l'altro mi rende felice e sono così certo che lo farà, che non mi lascerò bloccare dai suoimomenti di crisi, né avrò paura di non essere accontentato nei miei desideri, ma mi darò da fare
per fargli capire che faccio sempre tifo per lui, che lo stimo e lo apprezzo più della mia vita».
b. È facile stare insieme.
All'inizio basta guardarsi per intendersi; basta tenersi mano nella mano per sentirsi forti
nell'affrontare la vita. Ma dare per scontato che sia facile stare insieme significa che il giorno in
cui mi troverò in difficoltà, deciderò che non sono fatto per te.
In realtà non è necessariamente facile stare insieme, ma è certamente così bello non sentirsi soli,
soprattutto nei momenti di difficoltà, che la sicurezza di essere aiutati e capiti, porta a creare le condizioni
per rendere più facile la vita a due. Allora la difficoltà diventa occasione per crescere, per vincere la
naturale pigrizia a trovare nuovi orizzonti ...
c. Noi due bastiamo.
È evidente che nel momento in cui godo di atteggiamenti di tenerezza nel contesto dell'innamoramento,
desidero isolarmi dagli altri per potermi dedicare al mio partner e condividere spazi di intimità. Ma la
coppia, mentre cresce, deve diventare più ricca, deve maturare, vivendo la ricchezza del contatto con gli
altri e così saprà ossigenarsi e creare spazi più adeguati. Per questo «noi due, per bastare, dobbiamo
aprirci sempre agli altri».
La fiducia
Dare fiducia ad una persona è l’esperienza più esaltante perché significa allargare gli orizzonti e
scoprire la ricchezza e la bellezza del vivere con gli altri. Troppe volte nei confronti delle persone ci
si limita ad osservarle o a relazionarsi in maniera anonima.
Quando invece si dà fiducia la relazione vira in una modalità di rapporto interpersonale inedito
perché si accetta la parola dell’altro, senza alcuna “dimostrazione”. Se dici: «Ci credo», tu accetti la
sua parola ed offri la tua fiducia, la tua amicizia e il tuo amore.
Tutti i momenti della vita sono un continuo rapportarsi agli altri. Non ce n'è uno che lo escluda
perché senza un tu con cui dialogare c’è vuoto e senso di inutilità.
- La tua esistenza non è che l'espressione della fiducia dei tuoi genitori: due persone hanno
creduto al loro amore, hanno accettato di vivere, nonostante le difficoltà, l'uno per l'altro.
Rileggete poi la vostra esperienza di fidanzati: i primi incontri e poi il superamento di incertezze,
di distanze … vi hanno fatto spinto a fidarvi l’uno tanto da mettervi insieme, rinunciando a tante
cose personali. Senza questa fiducia non sareste qui a condividere questi momenti che vi
preparano al matrimonio.
- Ma accanto a queste esperienze ce ne sono tante altre che ci dicono ogni giorno che la nostra
vita continua ad esistere solo perché circondata dalla fiducia. Se dovessimo, per ogni cosa, non
fidarci più degli altri senza dubbio sarebbe impossibile vivere.
Si può allora incominciare a capire come sia la fiducia:
· possibilità di vivere. La vita di tutti è legata a filo doppio alla fiducia degli altri. Senza di essa ci
chiuderemmo nel luogo sterile e vuoto dell’egoismo più esasperato dove c’è solo solitudine.
· possibilità di dare valore al mio rapporto con gli altri. Tutti i momenti della vita sono un
continuo rapporto con gli altri. Senza un tu con cui dialogare ci sentiamo vuoti, inutili, come
Adamo prima che gli fosse donata Eva. Si cerca l'altro perché si ha fiducia che possa esaudirequesto desiderio di comunicazione, di apertura.
· e, per chi crede dare valore al mio rapporto con Dio. Quando dico: «Credo in Dio» faccio questa
affermazione non perché lo vedo, ma perché “avverto” il suo amore, magari anche nella prova.
Dargli fiducia significa prendere posizione per un fondamento, per un sostegno e un senso
ultimo della realtà; è uno scommettere sul senso della vita. Ma gli posso dire anche di no,
posso ignorare o soffocare ogni germe di fiducia, posso dichiarare, anche in perfetta buona
fede, di non essere in condizione di sapere …
· Ma se Dio esiste, perché non si fa vedere? Dio ha lasciato intravedere di sé quanto basta per
seguirne le tracce. È in fondo una prova d’amore perché rispetta la libertà, affidando a
ciascuno la responsabilità del proprio destino.
La fede: un incontro ed un dialogo.
La fede in Dio è l'incontro con una Persona. Nel corso dei millenni Dio aveva parlato. Ma il Signore
Gesù, prima di farsi sentire ha voluto mostrarsi, ha voluto che i nostri occhi lo contemplassero prima
che le nostre orecchie lo ascoltassero. Si può dire che su trentatré anni di vita, Gesù per trent'anni
si accontenta di essere guardato, al punto che si dirà di lui: «Non è egli il figlio del falegname? E sua
madre non si chiama Maria? Non conosciamo noi tutta la parentela?» (Mt 13,55). Allo stesso modo
quando entra nella vita pubblica, si incomincia con il guardarlo. Credere significa vedere, incontrare
qualcuno. Giovanni non dimenticherà mai che Gesù Cristo è entrato in lui attraverso ciascuno dei
suoi sensi: «Quel che fin da principio, quel che abbiamo inteso, quel che abbiamo visto con i nostri
occhi, quel che abbiamo contemplato, quel che le nostre mani hanno toccato del Verbo di Dio, perché
la vita si è manifestata, noi l'abbiamo veduta e le rendiamo testimonianza; quel che abbiamo visto
e udito, lo annunciamo anche a voi» (1Gv 1,1-3).
La grazia delle grazie è di incontrare il Signore Gesù come si incontra un uomo, una donna, a cui si
dà la vita, qualcuno cioè che ha cambiato la nostra esistenza e la nostra strada. Quali che siano le
nostre miserie, le nostre debolezze, quando si incontra il Signore ne segue una reazione a catena,
che andrà da un discepolo all'altro: Andrea si imbatte con suo fratello Simone e gli dice: Abbiamo
trovato il Messia... L'indomani Gesù incontra Filippo... Filippo incontra Natanaele ... La stessa cosa
dirà anche la Samaritana: «Venite a vedere un uomo, il quale mi ha svelato tutto quello che ho fatto.
Che sia forse il Cristo?» (Gv 4,29). E di colpo siamo alle sorgenti della fede: ho incontrato il Signore.
Chi è Gesù?
Gesù era ebreo, sua madre, Maria, suo padre, Giuseppe, la sua famiglia erano ebrei. Il suo nome
«Jehoshua», significa «Jahwè è aiuto». È stato un comune "laico" e i suoi seguaci erano gente
semplice. Figlio di un falegname e apparentemente falegname egli stesso, a 30 anni circa conduce
una vita nomade, predicando e operando su pubbliche piazze. Sollecita ad una continua ed
instancabile preghiera, perché l'uomo può e deve presentare a Dio, che è Padre, le proprie richieste
senza spendere troppe parole. Annuncia il regno di Dio, un regno in cui si realizzerà sulla terra la sua
volontà, in cui ogni colpa verrà perdonata e il male sarà completamente sconfitto. Questo regno è
descrivibile se non per immagini: il seme germogliato, il raccolto maturo, il grande convito di nozze
… Questo significa che bisogna attendere e prepararsi ad un futuro.Cambiare stile di vita è possibile se si accoglie questo Vangelo abbandonando ogni resistenza con
quella fiducia che viene chiamata fede, una fede che è grande anche nella forma modestissima di
un granello di senape, una fede che resta sempre dono, una fede che ha la dimensione della
speranza.
Gesù, da chi vuole cambiare vita, non attende di sapere il passato, ma guarda al nuovo futuro al
quale ci si vuole dedicare.
Per questo frequentò quegli individui chiamati con disgusto «peccatori». Un Dio che ama più i
peccatori dei giusti? Che in cielo vi sia per un solo peccatore che fa penitenza maggiore contentezza
di quanto ve ne sia per novantanove giusti che non hanno bisogno di penitenza, è semplicemente
scandaloso per i benpensanti. C'è qualcuno che sta facendo qualcosa che mai nessun altro, neppure
Mosè e i profeti, hanno mai osato: un uomo anticipa il giudizio di Dio. Chi crede di essere?
Diventa così la pietra dello scandalo e sulla sua persona gli animi si dividono perché non rispondeva
minimamente alla diffusa attesa di un «Messia», di «un figlio di Davide».
Un maestro che si erge al di sopra della Legge e del Tempio, al di sopra di Mosè, al di sopra dei
sovrani e dei profeti, e che fa valere un'autorità che non gli è stata delegata da nessuno. Un uomo
povero e debole che rivendica per sé l'autorità di Dio che chiama con sconcertante intimità «ABBA’»
(in aramaico papà).
Se voleva annunciare a tutto il popolo il suo messaggio, Gesù doveva recarsi nel centro religioso, a
Gerusalemme, la città santa. Era la Pasqua e Gesù consuma la sua ultima cena con i discepoli. Al rito
tradizionale del pane spezzato per ogni commensale e del vino offerto a tutti Gesù dà un nuovo
annuncio ed una nuova interpretazione: come il pane, così anche il suo corpo sarà spezzato; come
il vino rosso, così anche il suo sangue sarà versato. E questo pane è il suo corpo e questo vino è il
suo sangue. È la nuova Alleanza.
Gesù viene preso «con astuzia», grazie alla collaborazione di Giuda, uno dei Dodici, oltre la valle del
Cedron, sul monte degli ulivi, in un podere chiamato Getsemani, nottetempo. La classe dirigente
ebraica lo affida al potere romano, adducendo sospetti di natura politica. La morte in croce era
riservata dai romani agli schiavi e ai ribelli politici: il condannato moriva dissanguato o soffocato
dopo atroci sofferenze.
«Gesù, emettendo un forte grido spirò». Non un discepolo, ma un simpatizzante membro del
sinedrio, Giuseppe d'Arimatea, provvede a seppellire il cadavere nel suo sepolcro privato. Del fatto
sono testimoni solo alcune donne.
Tutto finisce o forse con la sua morte non tutto finì?
Solo dopo la sua morte prese concretamente l'avvio il movimento che a lui si richiama.
Come fu possibile, dopo una fine così catastrofica, che i seguaci dopo essere fuggiti siano rimasti
fedeli non solo al suo messaggio ma che abbiano immediatamente fatto di Gesù il vero e proprio
contenuto dell’annuncio? Si tratta dell'origine del Cristianesimo.
Scritti neotestamentari attestano che Gesù si incontrò come persona viva con i discepoli. Nelle
lettere di Paolo, (che precedono i Vangeli di decenni), si leggono dichiarazioni dello stesso che
riferisce di «apparizioni» o «rivelazioni» del Risorto. Paolo riporta una lista di testimoni della
risurrezione facilmente controllabile da parte dei contemporanei: testimoni ai quali il Risorto «si
fece vedere», «apparve», «si rivelò»; testimoni che lo incontrarono e che per la maggior parte eranoancora in vita ed interrogabili negli anni 55/56, quando la lettera venne scritta a Efeso.
È la Pasqua, un messaggio davvero sconvolgente, e tuttavia già allora, come oggi, facilmente
rifiutabile: Gesù ha varcato la soglia della vita di Dio. Là dove l'uomo raggiunge il momento estremo
della sua vicenda terrena lo attende non il Nulla ma quel Tutto che, per Ebrei, Cristiani e Musulmani
è Dio. Questo passaggio non può essere verificato empiricamente o razionalmente. Già i primi
testimoni si appellarono alla fede.
E da noi non si esige né più né meno che una disponibilità a credere. Nulla ci costringe a credere,
molto ci invita a farlo: la sua parola, il suo comportamento, il suo destino, da Dio legittimati.
Essere autentici cristiani
Il desiderio di essere "autentici" cristiani deve riguardare la sfera sia personale che comunitaria.
1. Desiderio di autenticità a livello personale.
L'elemento fondante della vita cristiana non sta primariamente nei singoli comandamenti, ma nella
fede in Gesù Cristo. Credere significa stabilire con Lui un vincolo strettissimo non solo con la sua
Parola, ma anche con la sua morte e la nuova vita risorta. Seguirlo significa allacciare con Lui un
rapporto e ritmare la propria vita secondo il suo modello.
Gesù ha concentrato tutti i comandamenti nel duplice comandamento dell'amore a Dio e al
prossimo, non come semplice sentimento o sensazione, ma da attuare con atteggiamenti e azioni
concreti anche nei confronti dei “nemici”.
Per questo il “prossimo” sono anche coloro che non vengono mai riconosciuti nella nostra società
per discriminazione razziale, nazionalismo, oppressione sociale, egoismi corporativi... Il cristiano
tenendo lo sguardo fisso su Gesù Cristo e nel cuore deve essere il primo ad impegnarsi contro ogni
forma di sopraffazione, una mano tesa verso tutti coloro che vengono legalmente defraudati della
propria umanità e della reale possibilità di essere uomini, ma senza usare violenza e con la sola
disponibilità alla rappacificazione, al perdono completo. Solo davanti alla croce di Cristo chi crede
riesce a trovare il coraggio di imitarlo.
Non si può allora rendere banale il "segno" di croce tante volte ripetuto meccanicamente che non
di rado scade a segno magico. Diventa problematico lo stesso crocifisso portato al collo, quando
nulla gli si fa corrispondere nella vita e anzi si tende a sbarazzarsi dell’autentica croce di Cristo
rendendolo elemento solamente decorativo …
Vivere l’autenticità della fede non significa nemmeno fare delle “cose” in suo nome quanto
piuttosto “dare senso” a ciò che si fa e si è. Questo è il segno di contraddizione della fede altrimenti
si rischia di perdere di vista i valori più alti e il senso generale del vivere.
Oggi l'uomo è obbligato a produrre, progredire, ottenere successo. È solo in virtù delle prestazioni
personali che viene riconosciuto, che conserva un posto nella società, che acquisisce il prestigio.
Un processo innescato dal fatto che ciascuno ha un suo Dio o i suoi dei determinanti, su cui si
orienta e a cui si sacrifica: il denaro o la carriera o il prestigio o il potere o il piacere o qualunque
altra cosa …
Il credente si lega invece esclusivamente a quell'unico vero Dio che non si identifica con nessuna
delle realtà finite e così diventa libero nei confronti di tutto. Solo un Dio vero dona la grande e
sovrana libertà che schiude nuovi spazi e nuove possibilità indipendentemente dalle prestazioni.2. Desiderio di autenticità a livello comunitario
L’autenticità cristiana dovrebbe manifestarsi anche a livello comunitario, nell’essere popolo di Dio,
Chiesa. Spesso si pensa la Chiesa unicamente come istituzione sociale, alla quale, a volte, si
riconosce ancora in qualche ambito un certo suo influsso sociale, ma con la previsione certa che
con il tempo si potrà farne a meno (cfr. scristianizzazione).
Il Concilio Vaticano II (Lumen Gentium) le ha indicato, sull’esempio di Cristo, di percorrere la strada
della povertà ed anche della persecuzione nel portare il Vangelo, la bella notizia che Dio ama ogni
uomo. È chiamata a mostrare il suo volto attraverso la testimonianza e il servizio. Senza questa
identità ne fa aumentare progressivamente il rifiuto, la critica contro i suoi interventi dottrinali e
disciplinari, la sua connivenza con realtà non certo evangeliche.
Di fronte a questi giudizi severi sulla Chiesa, è difficile accettarla soprattutto per chi ha avuto
esperienze negative e pertanto si è poco disposti a “viverci” fattivamente. Eppure Gesù abita
questa realtà fragile e splendida che è la Chiesa dove, ai peccati e alle nostre grettezze, si mischia
la sua Presenza che salva, trasforma ed esalta. La Chiesa infatti è il piano strategico che Dio ha
elaborato per salvarci. Proprio perché fatta anche da noi è peccatrice, ha anche questa dimensione
che ci dà tanto fastidio ma che però consola perché siamo certi che accoglie anche noi che santi
non siamo!
In questa Chiesa abbiamo incontrato Dio all’inizio dell'esistenza con il Battesimo; lo incontriamo
nell’Eucarestia, nel perdono, nel matrimonio …
Proprio perché la Chiesa è il luogo dove le scelte di vita ricevono senso da Dio allora pur con tutte
le pesantezze e i peccati che la gravano è il nostro grembo materno che ci conduce a Dio e a cui
possiamo offrire i nostri doni.
Il matrimonio nella Bibbia
La Bibbia, sotto l'involucro contingente delle vicende, delle politiche e dell'agitarsi umano, nelle
pagine spesso striate di sangue e di pianto, ci parla con un linguaggio semplice, popolare dove, però,
c'è la Parola incarnata di Dio, che, intervenendo nello scenario del mondo, svela lentamente il suo
volto misterioso e ignoto. È una rivelazione che chiama anche ad una risposta.
Ci soffermiamo sul tema del matrimonio.
Le prime pagine di questo libro ci parlano delle esperienze umane più significative: vivere,
innamorarsi, sposarsi. L'uomo, (Adamo nella Bibbia significa appunto l'uomo di ieri, di oggi e di
sempre) "opera delle mani di Dio" (Gn 2,7; Sal 8,4), "fatto a sua immagine e somiglianza" (Gn
1,27) è creato come coppia (maschio e femmina) per un progetto di felicità. C'è però il grande
ostacolo del peccato (nella etimologia biblica "peccare" significa fallire la meta, non riuscire in
un progetto). Le mani dell'uomo che si protendono verso l'albero della conoscenza del bene e
del male esprimono il rifiuto dell'uomo di fronte al progetto di Dio. Si crea così una frattura tra
Dio e l'uomo che Dio stesso si impegna a ricomporre, consegnando questo suo progetto
originario ai tanti personaggi che scandiscono le varie tappe di questa storia di salvezza, fino alla
pienezza: Gesù Cristo. Con queste persone Dio dimostra che la sua opera di educatore è basata
più sulla pazienza e sulla fiducia che non sul castigo meritato dai peccati dell'uomo.
Dal libro della GenesiE il Signore Dio disse: «Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio dare un aiuto che gli sia simile».
Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li
condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse
chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l'uomo impose nomi a
tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l'uomo non trovò un
aiuto che gli fosse simile. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò:
gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che
aveva tolto all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. Allora l'uomo disse: «Questa volta essa è
carne della mia carne, è osso delle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall'uomo è stata tolta».
Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una
sola carne. Ora tutti e due erano nudi, l'uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna
Da questo racconto emergono alcune considerazioni:
· La donna è un dono di Dio fatto all’uomo. L’uomo non sa nulla della sua origine. Mentre Dio
crea, l'uomo dorme. Di fronte alla donna, l'uomo sente di essere vivo e per questo riconosce la
donna come essere pari a sé in dignità. Dio è presentato come il padre che accompagna la figlia
al rito nuziale e la presenta. È questa relazione che fa vivere e sentire vivi.
· La differenziazione sessuale è la firma di Dio nella nostra carne. È partecipazione al suo potere
creatore: "crescete e moltiplicatevi". Ma dopo il peccato, questo rapporto si presenta carico di
ambiguità: "verso tuo marito ti spingerà la passione; con dolore partorirai i figli".
Nei profeti la pienezza dell'amore di Dio verso il suo popolo si manifesta nel “segno” del
fidanzamento e del matrimonio, nelle sue varie espressioni di seduzione, di tenerezza, di
abbandono fiducioso, ma anche di tradimento, di vendetta e poi di riconciliazione ...
«Parlate al cuore di Gerusalemme» (Is 40,2): Dio si china con tutta la tenerezza sul suo popolo,
di nuovo vuole intrecciare con lui quel rapporto di cui solo il suo cuore e il cuore dell'uomo sono
capaci e di cui Lui rivendica la priorità: «Ti ho disegnato sulle palme delle mie mani» (Is 49,16). È
la tenerezza di un Dio che si scopre madre: «Si dimentica forse una donna del suo bambino?
Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io non ti dimenticherò mai» (Is 49,5). È la
tenerezza di un padre che prende tra le braccia un figlio, se lo strofina sulla guancia, si china per
dargli da mangiare e, tenendolo per mano, gli insegna a camminare (Os 11,4). È la tenerezza che
sa andare fino all'intimità più profonda: «Come un giovane sposa una ragazza, così ti sposerà il
tuo creatore. Come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te» (Is 62,5). Ma è
anche la tenerezza di Israele che gli consegna tutto sé stesso, fino a «scrivere sulla mano: Io sono
del Signore» (Is 44,5), tu sei la mia firma. Il cuore di Dio e il cuore del suo popolo si sono incontrati.
Gerusalemme è la sposa che Dio circonda con la "corona" e il "diadema" di regina con cui, in
Oriente, gli sposi esprimono lo stupore del loro incontro e la gioia di appartenersi: «Sarai una
magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio» (Is 62,3).
A Gerusalemme viene dato il nome che ogni sposo sa dare alla sua sposa: «Sarai chiamata: amore
mio» (Is 62,4).
Cantico dei Cantici
Fidanzata Una voce! Il mio diletto! Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline.
Somiglia il mio diletto a un capriolo o ad un cerbiatto. Eccolo, egli sta dietro il nostro muro;guarda dalla finestra, spia attraverso le inferriate. Ora parla il mio diletto e mi dice:
Fidanzato «Alzati, amica mia, mia bella, e vieni! Perché, ecco, l'inverno è passato, è cessata la
pioggia, se n'è andata; i fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è tornato e la voce
della tortora ancora si fa sentire nella nostra campagna. Il fico ha messo fuori i primi frutti e
le viti fiorite spandono fragranza. Alzati, amica mia, mia bella, e vieni! O mia colomba, che
stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire
la tua voce, perché‚ la tua voce è soave, il tuo viso è leggiadro». Come sei bella, amica mia,
come sei bella! Gli occhi tuoi sono colombe, dietro il tuo velo. Come un nastro di porpora le
tue labbra e la tua bocca è soffusa di grazia; ... I tuoi seni sono come due cerbiatti, gemelli di
una gazzella, che pascolano fra i gigli. Tutta bella tu sei, amica mia, in te nessuna macchia. Tu
mi hai rapito il cuore, sorella mia, sposa, tu mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo, con
una perla sola della tua collana! Quanto sono soavi le tue carezze, sorella mia, sposa. Le tue
labbra stillano miele vergine, o sposa, c'è miele e latte sotto la tua lingua e il profumo delle
tue vesti è come il profumo del Libano.
Fidanzata Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte
è l'amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe son vampe di fuoco, una fiamma
del Signore! Le grandi acque non possono spegnere l'amore né i fiumi travolgerlo. Se uno desse
tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell'amore, non ne avrebbe che dispregio.
Isaia
Poiché tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti è il suo nome; tuo redentore è il Santo di
Israele, è chiamato Dio di tutta la terra. Come una donna abbandonata e con l'animo afflitto, ti ha il
Signore richiamata. Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù? Dice il tuo Dio. Per un breve
istante ti ho abbandonata, ma ti riprenderò con immenso amore. In un impeto di collera ti ho
nascosto per un poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te, dice il tuo redentore,
il Signore. Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo architetto; come gioisce lo
sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te.
Il Nuovo testamento, riguardo al matrimonio, ha al centro l’affermazione di Paolo: “L’uomo lascerà
suo padre e sua madre e verrà unito alla sua donna e i due formeranno una carne sola” (Ef5,31-
32). In questa frase appaiono come quattro orizzonti:
· Divenire uno: è la dimensione personale dell’amore. La persona è una totalità unificata di
anima e di corpo, di spirito e carne: l’essere persona significa riconoscere e quindi rispondere
di questa unità. Entro questi due estremi sembra essersi svolta la vicenda della cultura
sessuale nell’ultimo secolo: dalla demonizzazione del corpo si è passati alla sua divinizzazione.
Nell’uno e nell’altro caso la persona viene ridotta ad una metà, solo spirito o solo materia.
Divenire uno, unificarsi, significa, invece, riconoscere l’integralità della persona, assumendo la
responsabilità dei propri gesti, facendo sì che ci sia corrispondenza tra ciò che si esprime col
corpo e ciò che realmente si vive. La morale sessuale allora non è anzitutto un problema di
misura: fin dove è lecito, fin dove non lo è, ma di corrispondenza fra il gesto e il livello che
riguarda l’impegno alla comunione di vita, la condivisione delle scelte, della casa, dei soldi, del
tempo …, insomma l’intera esistenza personale. In questa prospettiva i rapporti sessuali pre-matrimoniali (e più in genere extra matrimoniali) sono fuori luogo. Appare ragionevole, infatti,
che alla massima espressività corporea debba corrispondere la comunione integrale di vita e
di amore, ciò che prima del matrimonio, e tanto più fuori del matrimonio, non si può dare se
non parzialmente. L’amore vero, come avverte ogni innamorato, desidera la totalità.
· Per l’altro/a: è la dimensione interpersonale dell’amore. Amare è fare dono di sé stessi, spirito
e corpo, all’altro/a. Il dono è possibile non solo dove l’io si dona, ma dove c’è un tu che lo
riceve. Un tu che per poter accogliere il dono integrale dell’io deve essere a sua volta integrale,
presente in spirito e corpo. Ciò esclude ogni riduzione dell’altro al suo corpo, come invece
avviene in modo eclatante nella pornografia e nella prostituzione, oppure in modo più subdolo
in un certo erotismo di coppia in cui la dignità di un partner, quasi sempre la donna, viene
sacrificato alle voglie dell’altro. Riconoscere l’altro/a nella sua integralità significa anche
riconoscerlo nella sua differenza. Questo invita ad escludere ogni forma di subordinazione e di
dominio dell’uno sull’altro/a, di piatta parità, di semplice complementarietà, e ad accedere
invece alla reciprocità del dono di sé. Ciò implica la responsabilità di ciascuno dei due sessi nel
riconoscere e promuovere il reciproco. La reciprocità instaura una dinamica relazionale che
privilegia la sollecitudine verso l’altro, la disponibilità a mettere in questione se stessi davanti
all’altro, la valorizzazione in sé stessi e nell’altro delle risorse migliori da mettere in circolo nelle
relazioni che costituisce le singolarità dell’io e del tu nella realtà plurale del noi. L’antropologia
della reciprocità è profondamente connotata dalla responsabilità per l’altro/a. Non basta
- l’esserci dei due, non basta nemmeno l’essere con l’altro; è necessario il reciproco “essere
per l’altro”. In questa prospettiva risulta preoccupante la cancellazione della differenza
sessuale ritenuta una semplice costruzione culturale, oppure una contingenza mutevole a
seconda delle occasioni. La confusione o la fusione del genere sessuale porta alla cancellazione
della differenza ed all’impossibilità della reciprocità: ciò che resta è, più che una coppia, un
“duo” di doppi o di identici. L’amore vero, come desidera ogni innamorato, è incontro con
l’alterità.
· Nello spazio: è la dimensione socio-istituzionale dell’amore. La vita d’amore non si svolge in
uno spazio vuoto, ma entro una società ed una cultura che, lungi dall’essere una semplice
costrizione per la libertà dei due, ne è la condizione. L’istituzione civile e religiosa del
matrimonio non è l’impalcatura esterna che, nel migliore dei casi, salvaguarda la vita privata
e, nel peggiore, la ingabbia, ma è realtà già inscritta nella vita intima della coppia. Già il
linguaggio amoroso testimonia l’inevitabile dimensione sociale della vita di coppia. La
promessa insita in ogni parola e gesto amoroso non solo esprime qualcosa, ma stabilisce un
legame. L’amore vero non teme la pubblicità. La dimensione socio-istituzionale della sessualità
amorosa trova ulteriore ed emblematica rappresentazione nella fecondità in essa inscritta. La
coppia in quanto feconda è stata felicemente definita come “prima e vitale cellula della
società”: è nella relazione dei due che la società sorge, è nella nascita del figlio, il terzo, che la
società cresce e si assicura un futuro.
· Nel tempo: è la dimensione temporale dell’amore. Unificarsi e donarsi all’altro/a non è un atto
istantaneo e puntuale, ma richiede tempo. Nella misura in cui l’integrazione e il dono di sé
vogliono essere totali non possono che coinvolgere la totalità della persona, anche nella suadimensione temporale. Il senso di un gesto si tesse nel tempo. Solo la storia che lo precede e
lo segue può dirimere il senso. Cos’è una carezza? Dolcezza o intrusione? Un bacio? Tenerezza
o tradimento? E l’intimità sessuale? Comunione profonda o avventura effimera? La necessità
del tempo per dire il senso di un gesto invita a riconoscere la fedeltà non come la tomba, ma
come la possibilità dell’amore. Solo il tempo consente l’incarnarsi dell’amore che altrimenti
resta nel mondo fantastico e ideale dell’innamoramento effimero. Al tutto e al subito dell’era
dei consumi l’amore preferisce l’attesa e la perseveranza. L’amore vero, - come sogna ogni
innamorato, aspira all’eternità. Poiché l’amore di coppia non è staticamente fissato, la
responsabilità rispetto ad esso conoscerà anch’essa una vicenda storica. La responsabilità
personale non è una realtà innata o acquisita ad un dato momento per sempre, ma una
capacità in continuo divenire. Ciò invita a considerare ogni vicenda amorosa non come uno
stato invariabile, ma un divenire che come tale, potrà conoscere, insieme alle auspicabili
progressioni, anche fissazioni o regressioni. L’etica sessuale, allora, si presenta più come una
direzione da perseguire, che come uno stato da raggiungere una volta per tutte e la
valutazione morale di un comportamento baderà più all’orientamento assunto rispetto al
valore indicato dalla legge che alla determinazione con cui si intende perseguirlo.
Dal Vangelo secondo Matteo
Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «È lecito ad un uomo
ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?». Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore
da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si
unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola.
Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi». Gli obiettarono: «Perché allora Mosè ha
ordinato di darle l'atto di ripudio e mandarla via?». Rispose loro Gesù: «Per la durezza del vostro
cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico:
Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un'altra commette
adulterio». Gli dissero i discepoli: «Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non
conviene sposarsi».
Questo brano del Vangelo di Matteo ci può aiutare a comprendere la novità che Gesù porta alla
rivelazione sul matrimonio: è un ritorno al progetto originario di Dio, un progetto che l'uomo, per la
durezza del suo cuore, non aveva saputo accogliere. Per questo l'uomo non separi ciò che Dio ha
unito. Certo, questo amore radicale e senza riserve può sconcertare, soprattutto quanto si guarda
ai fatti della vita, quando si considerano le vicende umane che ogni giorno sembrano contrastare
apertamente con quanto Gesù chiede ai suoi credenti: «Vi do un comandamento nuovo: che vi
amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amato, così amatevi anche voi» (Gv 13,24). E noi sappiamo
come Gesù ci ha amato: nonostante il nostro rifiuto, le nostre false promesse, i nostri continui
tradimenti Gesù non ha detto basta, non si è tirato indietro, non ha trovato scuse per dire che in
questa situazione è impossibile, che la colpa è degli altri: «Nessuno ha un amore più grande di chi
dà la vita per i suoi amici». Sì, bisogna amare fino a dare la vita, non solo qualche di sé stessi. La vita
è tutto ciò che uno possiede. Quando si perde quella, non ci resta più nulla. Bisogna amare fino a
questo punto. È umanamente comprensibile l'affermazione dei discepoli: «Se questa è la condizione
dell'uomo nei confronti della donna, allora è meglio non sposarsi». Ma Gesù sottolinea che questaè una logica umana, non è la logica della fede. Ecco perché l'insegnamento di Gesù sul matrimonio
crea problemi a chi non è in questa ottica. Questo amore è aperto alla vita: «Sono venuto perché
abbiate la vita e l'abbiate in abbondanza». Ripensiamo per un attimo al perché Dio ha creato l'uomo
a sua immagine: «Ti ringrazio perché mi hai fatto come un prodigio, sono stupende le tue opere ...
Mi hai tessuto nel grembo di mia madre ... I figli dei giovani sono come frecce nella faretra ...» così
pregavano i salmisti. Se poi pensate alla vostra vita e a tutto quello che vi sta donando .... Gesù
propone un amore che sia dono di sé, gratuito e accogliente, unico e fecondo.
Il matrimonio sacramento
Il matrimonio non è solo una vicenda umana ma anche una risposta ad una vocazione di Dio.
Giungere alla maturità significa interrogarsi sul senso del proprio stare al mondo, sull'orientamento
del proprio cammino, sul significato del proprio destino. Rimanere prigionieri dell'incertezza nella
programmazione della vita significa gettare un dono prezioso. Scegliere è un cammino di coraggio
che sfida la pigrizia. Per il credente il senso della vita è l'INCONTRO con una Parola che si è fatta
carne e ci ha portato un nuovo messaggio di vita. Per questo possiamo leggere i "tempi della vita"
come SEGNI nei quali scoprire la voce dello Spirito. Ogni "grande" vocazione è fatta di piccole
vocazioni che si presentano nelle circostanze della vita quotidiana. Questi piccoli passi ci
permettono di avvicinarci alla nostra definitiva vocazione.
La chiamata al matrimonio viene descritta così dalla Parola di Dio: "Tu hai creato Adamo e hai creato
Eva, sua moglie, perché gli fosse di aiuto e di sostegno. Da loro nacque tutto il genere umano. Tu hai
detto: Non è cosa buona che l'uomo resti solo; facciamogli un aiuto che sia simile a lui» (Tb 8,6).
«Passai vicino a te e ti vidi; ecco, la tua età era l'età dell'amore; io stesi il lembo del mio mantello su
di te e coprii la tua nudità; giurai alleanza con te, dice il Signore Dio, e tu fosti mia» (Ez 16,8).
La vocazione al matrimonio è la presa di coscienza del progetto che Dio mi propone: una vita di
comunione anche nella “carne” per annunciare al mondo il suo amore, la sua bellezza, la sua bontà,
la sua vita. Celebrare il sacramento del matrimonio è accogliere per sempre questo dono.
E come ogni sacramento è “fatto” di segni.
Il primo segno significante siete voi. La vostra comunione di vita totale ed indissolubile è la più
grande provocazione: in una società frammentata e divisa, che pensa ed agisce quasi
esclusivamente in termini di interessi personali e di gruppo siete voi che annunciate che è possibile
credere in un NOI, sintesi di comunione e di appartenenza. Finché ci saranno persone che accettano
di celebrare anche nella "carne" la comunione di vita, Dio non sarà assente dalla storia umana.
E poi la festa. Il clima di festa è il segno immediato e più facilmente percepibile di questa
celebrazione: i fiori, la musica, il vestito, il "pranzo", le persone che invitate ... tutto esprime gioia.
In quel momento diventate il messaggio, la bella notizia (vangelo), per tanti amici e parenti. Sarebbe
bello che questa riscoperta non risultasse confinata solo in quel momento ma diventasse una
nostalgia, quando il grigiore degli impegni più abitudinari e la routine quotidiana potrebbero
appannare questa dimensione della vita. La festa manifesta il vero senso della vita: Dio ha voluto
elargire la felicità e la gioia perché ogni uomo ne possa godere sempre. Ricordiamo l'invito alla festa
di nozze del figlio del re! È la parabola che Gesù ci racconta per indicarci come sarà la vita eterna,
quella vita che non avrà ma fine. Ma fare festa non significa solo esteriorità, ma anche soprattuttoessere contenti dentro. Questa gioia interiore nasce quando la vita viene percepita come dono,
gratuità, pace. Solo allora si manifesta esteriormente, carica di significati e di gesti. Fate in modo
che la vostra festa di matrimonio sia l'inizio e la continuazione per tutta la vita!
Ci sono poi le Parole del Sacramento. Innanzitutto quella di Dio che annuncia la bellezza e la
grandezza di ciò che fa per l’uomo. Sono le pagine più intense della Rivelazione, dove Dio mostra la
tenerezza di cui è capace e la fedeltà del suo amore, nonostante il nostro peccato. E poi ci sono le
vostre parole che sono la risposta a questa proposta che state per assumere nell’amore e per amore:
“Io accolgo te come mio/a sposo/a e prometto di esserti fedele sempre nella gioia e nel dolore, nella
salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita”.
È il consenso che esprimete nel darvi la mano destra e pronunciando questa promessa. È quanto di
più bello e di più impegnativo ci si possa sentire rivolgere: l'impegno a volere amare sempre con
cuore indiviso e fedele. E poi l'intrecciarsi delle vostre mani ricordano le mani di Dio e le mani
dell'uomo che si intrecciano in un'unica storia, che diventa di salvezza. Il Dio dei padri, il Dio della
promessa, crea ogni cosa, e con tutto l'amore paterno tra quelle stesse mani e tra quelle stesse dita
avvolge e rigira l'opera più bella della sua creazione: l'uomo. Questo Dio, che con le sue mani ha
creato l'uomo dalla terra, lo ha collocato nel giardino e lo ha unito alla sua donna, è lo stesso Dio
che oggi è presente nell’intrecciarsi delle vostre mani.
E poi la benedizione e la consegna degli anelli, accompagnata dalla formula: “Ricevi questo anello
segno del mio amore e della mia fedeltà. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Mi
sembra interessante far notare come il segno della fedeltà di questo amore vi sia affidato con le
parole del Segno della Croce, che per Gesù, è stato il compimento di una vita condotta
nell'obbedienza al Padre. Ma la croce ha senso perché, aldilà, ci sta la Risurrezione, la vita nuova che
Dio dona. Senza la risurrezione la croce di Cristo resterebbe nuda, senza senso. Invece è diventata
esperienza di libertà e di pienezza. Alla luce di questa Croce chi crede riesce a trovare nelle tenebre
il coraggio della speranza, il coraggio di imitarla. Lo scambio degli anelli, segno della vostra fedeltà,
viene celebrato in questo contesto di speranza incrollabile.
Al termine
Al termine di questi incontri, carissimi fidanzati, abbiamo voluto dirvi la bellezza di un amore che si
fa famiglia e famiglia di Dio. Ci sembra bello poter riassumere il cammino che abbiamo percorso
sottolineando il messaggio che ci siamo sforzati di comunicarvi più con le nostre esperienze che con
le parole.
* Il fidanzamento è tempo di grazia perché dono, un tempo in cui gustare la bellezza e la gioia di
appartenervi perché è solo attraverso la bellezza e la gioia che il mondo si salverà. Scoprite la
bellezza come itinerario privilegiato per superare gli ostacoli e non come tentazione: la bellezza di
una persona, di una relazione, delle cose. Mettete a fondamento questa esperienza, guardate con
ottimismo le scelte concrete, anche le più quotidiane. Se vivrete ricercando la bellezza in ogni
persona ed in ogni esperienza non sarete delusi perché qui nasce la comunione. Ci sembra bello
farvi l’augurio di Gesù ai suoi: Vi dico queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia
piena.
* Guardatevi attorno e sforzatevi di scoprire sempre la fiducia che vi circonda. È facile notare le cose che non vanno, i tradimenti di tanti propositi, più che gli sforzi che uno ci mette. Per questo,
a volte, si ha l’impressione che le parole di bene e di amore siano false o di circostanza. E così si
insinua la diffidenza, il sospetto supportato da tanti fatti. Ma la difficoltà non è l’ultima parola di
un rapporto perché il perdono è capace di restituire verità alla vita. Chi non vive il perdono non
sa nemmeno accogliere e amare sé stesso. Qui, nel perdono, scopriamo che siamo più grandi di
quello che combiniamo ogni giorno.
* Alzate lo sguardo. Credere in qualcuno che vi ama per davvero non è un’illusione o un sogno. Ci
sono tante persone che lo hanno fatto ed hanno fondato la vita su Cristo: Madre Teresa, Papa
Giovanni, Chiara e Francesco d’Assisi, le tante persone umili e nascoste che nel corso della storia
hanno dato la vita per la fede. È una catena ininterrotta di uomini e donne che ci portano a quel
Cristo che è diventato sorgente di vita nuova. Questo Cristo lo possiamo incontrare anche negli
amici, nel prete, nella comunità, in tutti coloro che, pur tra tanti difetti, giocano le loro scelte per
lui. Lo incontriamo dentro di noi, quando, di fronte a certi snodi della vita, alziamo la nostra
preghiera a lui.
* Interrogate la Bibbia, quella Parola che sa dire parole vere sul nascere e sul morire, sullo sposarsi
e fare famiglia … Non è un libro solo per credenti, ma si lascia interrogare da tutti coloro che
vogliono porre gli interrogativi più profondi ed esistenziali. Sono parole che attingono non tanto
alla sapienza umana, ma presso quel Dio che conosce il desiderio di felicità e di gioia delle sue
creature. Certo siamo liberi di sfogliare questo libro o di lasciarlo da parte, “su questo ti
ascolteremo un’altra volta”, coscienti però che ne va della qualità della vita. Chi si domanda
quanto tempo abbia a disposizione per rimandare questa scelta fallisce perché c’è in palio la perla
preziosa, il tesoro nascosto nel campo. Non viene chiesto l’eroismo: il modello di questo modo di
vivere è offerto dal bambino: perché piccolo e privo di risorse, è naturalmente incline a lasciarsi
aiutare, ad accettare doni e a darsi tutto con assoluta fiducia. L'invito di Gesù alla conversione è
dunque un invito alla gioia.
* Siate persone autentiche per essere anche autentici cristiani. Non accettiamo più l’apparenza, il
non poterci veramente fidare di chi ci sta di fronte. Troppo spesso portiamo in giro la maschera
dell’amico fidato, del fidanzato innamorato, del marito o della moglie tutto casa e lavoro, senza
esserlo in realtà. Togliamo le maschere a tante convenienze, viviamo quello che siamo senza alcun
timore. Il nostro parlare sia sì, sì; no, no. Tutto il resto inquina la verità. Autenticità anche nei
sentimenti che sono il dono più grande che possiamo scambiarci. Quante volte il “ti amo” non
raggiunge la profondità della persona, ma si ferma ai contorni e così si inaridisce o si spegne. È
l’autenticità che dà valore nel tempo e nello spazio ad ogni cosa perché non può essere mai
inflazionata.
* Amate la vita e credete nei valori. La vita è il dono più grande. Donatela con gioia nella fecondità
di coppia, non solo fisica ma anche spirituale. È in questo dono che si partecipa al potere amoroso
di Dio che è Padre e Madre ed è in questo dono che si trasmette la bellezza di quanto state vivendo.
Non abbiate paura della fatica perché non c’è mai un modo facile di amare, in quanto amare è un
po’ morire a sé stessi per comprendere l’altro e mettersi al suo posto.
* Non siete soli. Il matrimonio non è solo la realizzazione della vostra storia di amore, ma è anche
la risposta concreta al progetto di Dio che ha scritto nella vostra “carne” il suo sogno d’amore per l’umanità. La sua presenza nel sacramento del matrimonio vuole rendere i segni del vostro amore
luogo dove leggere il suo amore, tanto che ha voluto descrivere l’incontro con Lui, alla fine del
tempo, come l’invito a nozze. Non abbiate dunque paura delle vostre debolezze: il Signore è con
voi fino alla consumazione del tempo.
Grazie per questo cammino
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